
LA STORIA DEL CILENTO
Cenni storici sul Cilento e Vallo di Diano
Per sintetizzare la storia del Cilento è necessario fare un’attenta riflessione sul legame tra storia ed economia. C’è infatti un filo conduttore tra l’economia e la produzione. Gli insediamenti preistorici e protostorici, l’arrivo dei coloni greci, la conquista romana, le occupazioni e immigrazioni, la densità di popolazione sono tutti fenomeni dovuti alla costante abbondanza dei prodotti agricoli, la vicinanza del mare e la disponibilità dei porti.
Abbondanti erano le risorse e straordinaria era la laboriosità e l’inventiva degli abitanti. Di qui anche una diffusa ricchezza che permise la costruzione di città, templi, chiese, castelli, monasteri, palazzi che oggi rappresentano l’insieme dei beni culturali del Cilento.
Il nome “Cilento”, sicuramente di antica origine etrusca, compare però a partire dal medioevo fino a comprendere il territorio fino al Monte Stella. In epoca moderna si allarga ed abbraccia le terre dal fiume Sele fino a Sapri e ai giorni nostri anche il Vallo di Diano. Si tratta di un’area ricca di storia: gli antichi paleolitici della grotta di Camerota (risalenti a 500.000 anni fa), le zone più interne con i primi villaggi neolitici, e poi quelli più consistenti dell’età del bronzo alla fine del II millennio a.C..
Le risorse di allora erano la pastorizia e il sale. Agli inizi del I millennio a.C. Si ha la presenza degli Etruschi nella piana del Sele e nel Vallo di Diano, che pacificamente si accordarono con i coloni greci al loro arrivo.
Nell’ambito di quel grande fenomeno migratorio che fu la colonizzazione dell’Italia meridionale, poi chiamata Magnae Graecia, i greci fondarono le città di Poseidonia-Paestum, Elea-Velia, e Pixous-Bussento; il secondo nome di queste città è quello romano.
Le colonie greche Poseidonia ed Elea operavano in pieno accordo: i poseidoniati coltivavano la terra mentre gli eleati, abili mercanti e marinai commercializzavano i prodotti in tutto il mediterraneo. Ad Elea si sviluppò inoltre con Parmenide e Zenone una scuola filosofica, detta eleatica, di enorme importanza per la cultura occidentale.
Le popolazioni indigene con le quali convivevano i greci venivano chiamati “enotri”, Oinotroi, nome che derivava dal palo che sostiene la vite, ad indicare la loro attività di coltivatori e produttori di vino. In seguito furono chiamati “lucani”; poi il nome “Lucania” si estese in una vasta area a sud del fiume Sele. La acculturazione degli indigeni fece sì che si integrassero con i greci, e ne condivisero costumi e tradizioni.
Le magnifiche tombe dipinte del IV sec a.C. Esposte nel museo di Paestum sono un esempio tangibile della fusione culturale tra i due popoli.
Con la successiva conquista romana ci fu la cancellazione politica di Poseidonia e alla fondazione nello stesso sito della colonia latina di Paestum. Elea invece rimane fedele a Roma e potè conservare l’utilizzo della lingua greca.
Le vicende di Pixous non sono note, ma si deduce che divenne colonia romana di Buxentum (194 a.
C.). Nell’organizzazione amministrativa dell’Italia romana il Cilento faceva parte della terza regione augustea, denominata “Lucania” e “Bruzio”. Nel territorio si svilupparono altre città quali Volcei (Buccino), Atina (Athena lucana), Tegianum (Teggiano), e Consilinum (Padula). La regione era ottima e ricca di prodotti di ogni genere. Si moltiplicarono gli insediamenti, le strade, le fattorie o ville, e di queste ancora restano numerose testimonianze archeologiche.
Allora la “Villa” era una vera e propria azienda agricola, con annessi laboratori e manifatture per la lavorazione e la trasformazione dei prodotti, destinati ai mercati d’Italia e del Mediterraneo. Da qui si svilupparono anche vaste aree agricole, destinate a monoculture (viti, ulivi, grano, fiori). Vnnero costruite vie di comunicazioni (porti e strade), e aumentò la richiesta di manodopera rappresentata sia dagli schiavi residenti nella villa, sia da liberi salariati.
Lungo le coste si svolgeva un fitto traffico di trasporto grazie ai numerosi porti fra i quali i porti di Paestum, San Marco di Castellabate, Velia, Policastro e Sapri.
Dopo la caduta dell’impero d’Occidente e le invasioni barbariche, il Cilento vide nel medioevo una seria di nuovi dominatori, come Goti, Bizantini, Longobardi, Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi. Sorsero molti villaggi sulle colline per difendersi meglio dai pericoli del mare (assalti dei Saraceni e dei Corsari), ma anche Tsunami. Lungo le costiere furono costruite nel tempo numerose torri di avvistamento; nell’interno, si costruirono castelli e fortezze. Furono edificati anche molti monasteri di monaci benedettini e basiliani di rito greco che, oltre alla preghiera, erano dediti alla coltivazione delle terre. Si distinsero i benedettini della badia di Cava dei Tirreni. Fra i centri principali ci furono Capaccio, Rocca Cilento, San Severino di Centola, Teggiano, e sulla costa Agropoli, Castellabate, Castellammare della Bruca nel sito di Velia, Policastro.
Il sistema feudale e il baronaggio arricchirono pochi a spese del lavoro di molti, ma l’abbondanza dei prodotti non venne mai meno. Una certa stabilità del potere centrale si ebbe solo a partire dai Normanni nell’XI secolo. I tanti conflitti del basso medioevo toccarono il Cilento in particolare con la Guerra del Vespro, combattura fra gli Aragonesi di Sicilia e gli Angioini di Napoli, dal 1282 al 1302, e molti paesi e villaggi vennero distrutti. Gli Aragonesi fecero un importante tentativo per trasformare il Regno di Napoli in uno stato moderno, ma trovarono difficoltà a causa dei feudatari in particolare i Sanseverino, proprietari di quasi tutto il Cilento. Cadde la monarchia e il regno divenne all’inizio del ‘500 un dominio spagnolo governato da un vicere. Il periodo spagnolo è ricordato nel cilento per le ristrettezze economiche, le pestilenze, la riduzione della popolazione, il banditismo e gli assalti dei corsari con la costruzione di nuove torri costiere. Dal 1686 al 1695 il Cilento vide l’importante presenza del filosofo Gianbattista Vico a Vatolla, ospite dei marchesi Rocca e precettore dei figli. Qui, come lui stesso narra nacque la sua principale opera “principi di una scienza nuova” che rinnovò la filosofia europea. Dal 1714 il Regno di Napoli passò agli austriaci e nel 1734 si rese indipendente sotto la monarchia dei Borboni: iniziò una nuova epoca di rinnovamento che vide anche la riscoperta di siti archeologici come Pompei, Ercolano, Paestum, che divennero meta di scrittori, architetti e artisti provenienti da tutto il mondo. Degna di nota per il periodo Borbonico è l’operosa ascesa sociale delle famiglie borghesi, la più generale diffusione della cultura e delle nuove idee liberali, e la consistente partecipazione del Cilento ai moti risorgimentali. Dopo l’Unità d’Italia ci fu una delusione che lasciò il Cilento in una condizione di isolamento, divenne terra di briganti ma anche di emigranti, che partirono per le Americhe e anche per l’Australia. Solo nel ‘900 qualcosa cominciò a cambiare con la costruzione di strade, di acquedotti e opere di bonifica. Ma dopo la Seconda Guerra mondiale nuove delusioni portarono gli emigranti cilentani ad emigrare soprattutto nell’Italia del Nord e in Germania.
L’emigrazione non dipendeva dalla ricchezza produttiva della terra, ma dal fatto che quella ricchezza finiva nelle mani di pochi. Il recente sviluppo, legato soprattutto alle rimesse degli emigranti, ha visto una forte crescita dei paesi costieri. Per proteggere i valori culturali, paesaggistici e ambientali del Cilento è stato istituito il Parco Nazionale del Cilento (1991), e questi valori sono stati riconosciuti dall’Unesco nel 1998, quali patrimonio dell’umanità. Fra questi valori, va compresa la Dieta Mediterranea, nata dall’intuizione del fisiologo americano Ancel Keys, che vivendo e studiando nel Cilento a Pioppi, ha constatato la longevità della popolazione grazie ad un’alimentazione semplice e tradizionale (pesce, pasta, olio d’oliva, ortaggi e vino rosso), affiancata a una costante attività fisica a contatto con la natura.
Quindi si può dire che il filo conduttore nei tanti secoli di storia è stata la ricchezza tradizionale del Cilento costituita da prodotti agricoli di grande qualità e salutari. Per questa è stata sempre una terra ambita.